In primo grado ero riuscito a far ottenere alla mia assistita la condanna della Banca al pagamento di € 69.000,00 circa a titolo di illegittimi addebiti in conto corrente.
La Banca quindi spiegava appello e la correntista appello incidentale.
La CA di Venezia ha respinto l’appello principale ed ha accolto l’appello incidentale, rideterminando la somma in favore della correntista in € 112.852,24 oltre interessi di mora ex art. 1284 IV° co. che porta ad un totale di circa € 170.000,00.
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La Suprema Corte di Cassazione, con decreto del 16.07.2024, ha dichiarato estinto un ricorso che la Banca aveva spiegato contro la decisione della Corte D’Appello di Bologna, la quale aveva accolto il gravame spiegato dal fideiussore di un correntista, assistito dall’ Avv. Alessio Orsini in tutti e 3 i gradi di giudizio.
La vicenda ha riguardato una iniziale opposizione a decreto ingiuntivo che, era stata decisa dal Tribunale di Rimini, con una Sentenza che aveva condannato il correntista e il fideiussore a pagare un saldo di conto corrente ricalcolato al netto degli illegittimi addebiti, partendo da un saldo zero, stante la mancanza degli estratti conto iniziali.
Sennonché, la Sentenza veniva appellata evidenziando come non fosse possibile applicare il criterio di ricostruzione del saldo zero, in quando la carenza della serie iniziale degli estratti conto avrebbe potuto portare a credito il saldo per una somma non quantificabile.
In accoglimento dello spiegato gravame, la Corte D’Appello di Bologna, facendo applicazione dei consolidati principi espressi dalla Suprema Corte di Cassazione, riteneva che la Banca non avesse assolto al proprio onere probatorio, revocando quindi integralmente il decreto ingiuntivo.
Spiegava quindi ricorso per Cassazione la Banca dolendosi del fatto che la Corte D’Appello non avesse considerato “una pluralità di elementi probatori, tra cui alcuni documenti contrattuali relativi ai rapporti intercorsi tra le parti e una «lista movimenti contabili dal 1998 al 2015»: deduce l’istante che tali risultanze «ben avrebbero potuto consentire al Giudicante di verificare effettivamente se la banca avesse adempiuto all'onere della prova circa la negatività del saldo intermedio e l'impossibilità di un saldo positivo per il cliente nonostante l'epurazione di interessi anatocistici, o ultralegali e commissioni di massimo scoperto, con conseguente possibilità di confermare la legittima applicazione del cosiddetto ‘saldo zero’”.
La Suprema Corte di Cassazione, ha ritenuto che la Corte D’Appello di Bologna avesse fatto corretta applicazione del principio di diritto per il quale, la domanda della Banca debba essere respinta quando, a fronte dell’applicazione di interessi o oneri indebiti (es. anatocismo), non sia possibile escludere che, con riferimento al saldo intermedio, il correntista potesse aver maturato un credito di imprecisato valore (Cass. 2019 n. 11543).
Con riferimento al mancato utilizzo di documenti alternativi agli estratti conto, la Suprema Corte ha ritenuto che fosse una valutazione di merito non suscettibile di scrutinio in sede di Legittimità.
In ragione delle sopra estese motivazioni, la Suprema Corte aveva dapprima proposto la definizione del ricorso ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., dichiarando successivamente estinto il ricorso.
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Il Tribunale di Roma con provvedimento di urgenza ha accolto la domanda di cancellazione di una illegittima segnalazione a sofferenza.
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La vicenda in commento ha riguardato una società che aveva contestato una esposizione debitoria in conto corrente da diversi anni e la banca, invece di provvedere al ricalcolo del saldo, ha proceduto dapprima con la chiusura dei conti corrente e successivamente con la cessione dell’asserito credito.
Anche la società cessionaria ha ignorato le contestazioni della correntista e pur non avviando alcuna azione giudiziale volta la recupero del credito, ha deciso di apporre il nominativo a sofferenza.
La società, ritenendo di aver patito un abuso, avvalendosi del patrocinio dell’ Avv. Alessio Orsini, ha depositato un ricorso d’urgenza, nelle forme di cui all’art. 700 c.p.c., al fine di richiedere l’immediata cancellazione della sofferenza.
In accoglimento dello spiegato il ricorso, il Tribunale di Napoli, dopo aver richiamato la normativa di settore, ha ricordato come lo stato di “sofferenza” costituisca una incapacità ad adempiere alle proprie obbligazioni nei confronti dell’istituto di credito, quindi un concetto più attenuato rispetto all’insolvenza di cui all’art. 5 L.F.
Ciò posto, è quindi necessario che la Banca effettui una valutazione oggettiva sullo stato del proprio cliente e non proceda automaticamente alla segnalazione in regione del mero inadempimento, che potrebbe, come nel caso di specie, essere motivato da una contestazione fondata sull’illegittimo addebito di interessi ed oneri ultralegali (uso piazza) ed interessi anatocistici.
Nel caso esaminato dal Tribunale, la Banca non aveva allegato né dato prova di uno stato d’insolvenza, mentre il ricorrente aveva dimostrato la propria solidità e la fondatezza delle proprie doglianze, rispetto al pagamento di un saldo di conto corrente che ha contestato in quanto frutto di illegittimi addebiti (interessi ed oneri ultralegali ed interessi anatocistici).
Anche dal punto di vista del periculum, il ricorso è stato ritenuto fondato, stante il concreto pericolo di subire la revoca delle linee di credito intrattenute con altro istituto bancario.
In ragione dei sopra estesi motivi, il Tribunale ha accolto il ricorso e ordinato l’immediata cancellazione della segnalazione a sofferenza presso la CR della Banca D’Italia.
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Il Tribunale di Roma ha revocato il decreto ingiuntivo di € 177.501,11, per improcedibilità della domanda, per mancato esperimento della mediazione.
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Nell’ambito di una procedura esecutiva immobiliare incardinata da una società di cartolarizzazione sulla scorta di un mutuo fondiario, il Giudice dell’Esecuzione del Tribunale di Torino rigettava l’opposizione che era stata spiegata su molteplici profili di illegittimità.
L’esecutato, quindi, con il patrocinio dell’ Avv. Alessio Orsini, depositava reclamo avverso l’ordinanza di rigetto ed il medesimo Tribunale di Torino, in composizione collegiale, in accoglimento del gravame, disponeva la sospensione della procedura esecutiva.
Tra le varie doglianze articolate, il Collegio ha ritenuto di dover esaminare quella inerente la non debenza degli interessi applicati durante il periodo in cui il parametro euribor fu oggetto di manipolazione, così come accertato dalla Commissione Europea con decisione del 04.12.2013.
Mentre la parte reclamante sosteneva che, per effetto dell’accertamento da parte della Commissione europea, si sarebbe verificata la nullità della clausola del contratto di mutuo relativa alla determinazione del tasso di interesse, la parte reclamata richiamava la recente sentenza della Suprema Corte n. 12007 del 3.05.2024.
Il Collegio, dapprima effettuava una valutazione delle pattuizioni contrattuali del mutuo a tasso variabile per il quale, “secondo la volontà comune delle parti, l’indice Euribor è essenziale per poter determinare il tasso in concreto applicabile nel corso dello svolgimento del rapporto”.
Dopodiché, il Collegio, ha richiamato i principi espressi dal citato pronunciamento di Cassazione n. 12007 del 03.05.2024, secondo il quale:
“- il mero riferimento, in un contratto, al parametro dell’Euribor, sull’intuitivo sottinteso presupposto che esso sia correttamente determinato e, quindi, non alterato in modo illecito, è del tutto legittimo: esso potrebbe assumere carattere illecito, quale manifestazione di una alterazione della libera concorrenza, solo laddove si sia inteso consapevolmente far riferimento al parametro alterato da pratiche concorrenziali, o almeno abbia inteso farlo uno dei contraenti;
- anche se le parti del singolo contratto non siano consapevoli delle intese o pratiche illecite di terzi volte ad alterare il parametro esterno costituito dall’Euribor, qualora tali intese o pratiche abbiano effettivamente raggiunto, in concreto, il risultato dell’effetto manipolativo perseguito, applicando ugualmente quel parametro, nel suo valore “falsato”, il concreto regolamento di interessi resterebbe alterato, a danno di uno dei contraenti, con ciò determinandosi una oggettiva applicazione degli effetti dell’illecita intesa restrittiva della libera concorrenza nell’ambito di quel singolo contratto;
- invero, per effetto della situazione sopra descritta, il parametro di riferimento per la determinazione del tasso di interesse, voluto concordemente dalle parti, subisce un’alterazione a causa di condotte illecite di terzi che, oggettivamente, ne abbiano falsato il contenuto, rendendo pertanto quel riferimento non più rispondente all’effettivo assetto di interessi voluto dalle parti e consacrato nell’accordo contrattuale;
- mediante l’inserimento delle c.d. clausole Euribor, il concreto assetto di autoregolamentazione degli interessi delle parti è integrato, secondo la loro stessa volontà, dal riferimento ad un parametro esterno, non del tutto casuale e non totalmente aleatorio, ma di cui è noto il meccanismo ordinario di determinazione che, in tal modo, assume la natura di un vero e proprio presupposto del regolamento contrattuale, in quanto idoneo a individuare l’oggetto della clausola di determinazione del corrispettivo, benché non sia prevedibile il risultato finale concreto; -
“laddove, però, si accerti che il parametro richiamato sia stato alterato da un’attività illecita posta in essere da terzi, viene meno il risultato, almeno parzialmente prevedibile, del meccanismo costituente il presupposto del riferimento al parametro esterno voluto dalle parti: è inevitabile, allora, concludere che esso non potrebbe ritenersi più in grado di esprimere la effettiva volontà negoziale delle parti stesse, almeno con riguardo alla specifica clausola che prevede il richiamo al parametro in questione, per tutto il tempo in cui l’alterazione del meccanismo esterno di determinazione del corrispettivo dell’operazione ha prodotto i suoi effetti”;
- non potendo il parametro esterno indicato dalle parti essere in concreto utilizzato, si pone il problema della sostituzione del parametro richiamato dalla clausola contrattuale con un altro valore, sulla base dei principi generali dell’ordinamento, e, in mancanza di tale possibilità, la clausola contrattuale dovrà ritenersi non più efficace a causa della sua parziale nullità sopravvenuta per l’impossibilità di determinarne l’oggetto;
- alle stesse conclusioni deve pervenirsi là dove il parametro esterno richiamato nel contratto, invece di venire oggettivamente meno, divenga sostanzialmente inidoneo a costituire espressione della volontà negoziale delle parti, eventualmente anche solo per un determinato periodo, perché alterato nella sua sostanza, a causa di fatti illeciti posti in essere da terzi, “che siano tali da privarlo in radice delle caratteristiche per le quali le parti lo avevano richiamato nel contratto, quale presupposto del loro regolamento di interessi: in siffatta situazione, l’oggetto della clausola contrattuale, se il valore “genuino” e non alterato del dato di riferimento esterno non sia ricostruibile, sarà di impossibile determinazione e la clausola stessa dovrà ritenersi viziata da parziale nullità (originaria o sopravvenuta, a seconda dei casi), limitatamente al periodo in cui manchi il predetto dato”;
- a fronte di ciò, “laddove fosse possibile ricostruire la misura di tale tasso, “depurandola” dagli effetti delle pratiche illecite che lo hanno alterato, sarebbe quella la misura da applicare nei rapporti tra le parti. Se, invece, ciò non sia possibile, la situazione deve ritenersi equiparabile a quella che si verificherebbe se il tasso richiamato, in quel limitato periodo di tempo in cui sia stato oggetto di effettiva alterazione, non fosse stato affatto rilevato e fissato”;
- si verifica dunque una nullità parziale (originaria o sopravvenuta), “per impossibilità di determinazione dell’oggetto della clausola, per il periodo in cui è stata in concreto sussistente l’alterazione illecita (ciò che è ben possibile nei contratti di durata e quando il parametro di riferimento è istituzionalmente soggetto ad una evoluzione nel tempo). Il parametro alterato, infatti, non corrisponde a quello che nel contratto le parti hanno inteso richiamare e non è possibile la determinazione del parametro effettivamente richiamato (cioè, quello non alterato), se la sua misura, depurata dell’illecita alterazione, non sia ricostruibile”;
- in conclusione, la c.d. clausola Euribor non può dirsi di per sé nulla perché costituente applicazione di un’intesa illecita e vietata restrittiva della concorrenza (salvo il caso in cui almeno uno dei contraenti abbia consapevolmente inteso avvalersi degli effetti dell’illecita alterazione al momento della stipula), ma potrebbe risultare viziata da parziale nullità per impossibilità di determinazione del suo oggetto, se ed in quanto l’intesa vietata abbia, in sostanza e in concreto, fatto venir meno o reso incompatibile con l’autoregolamentazione degli interessi delle parti oggetto del contratto stipulato il parametro esterno di riferimento da queste effettivamente voluto (quello genuino), nei limiti in cui lo stesso non sia ricostruibile;
- affinché possano avere ingresso tutte le valutazioni richiamate in merito alla validità ed efficacia delle clausole contrattuali contenenti il richiamo al parametro dell’Euribor occorre che sia fornita la prova, non solo dell’esistenza di una intesa o di una pratica volta ad alterare il parametro in questione, ma anche del fatto che tale intesa o pratica abbia raggiunto il suo obbiettivo e, quindi, quel parametro sia stato effettivamente “alterato” in concreto, a causa della illecita manipolazione subita e, di conseguenza, non sia utilizzabile nei rapporti tra le parti, non corrispondendo all’oggetto del contratto, come determinato secondo la volontà delle parti.
La Corte conclude quindi esprimendo diversi principi di diritto, tra cui, per quanto qui interessa,
- «le clausole dei contratti di mutuo che, al fine di determinare la misura di un tasso d’interesse, fanno riferimento all’Euribor, possono ritenersi viziate da parziale nullità (originaria o sopravvenuta), per l’impossibilità anche solo temporanea di determinazione del loro oggetto, laddove sia provato che la determinazione dell’Euribor sia stata oggetto, per un certo periodo, di intese o pratiche illecite restrittive della concorrenza poste in essere da terzi e volte a manipolare detto indice; a tal fine è necessario che sia fornita la prova che quel parametro, almeno per un determinato periodo, sia stato oggettivamente, effettivamente e significativamente alterato in concreto, rispetto al meccanismo ordinario di determinazione presupposto dal contratto, in virtù delle condotte illecite dei terzi, al punto da non potere svolgere la funzione obbiettiva ad esso assegnata, nel regolamento contrattuale dei rispettivi interessi delle parti, di efficace determinazione dell’oggetto della clausola sul tasso di interesse»;
«in tale ultimo caso (ferme, ricorrendone tutti i presupposti, le eventuali azioni risarcitorie nei confronti dei responsabili del danno, da parte del contraente in concreto danneggiato), le conseguenze della parziale nullità della clausola che richiama l’Euribor per impossibilità di determinazione del suo oggetto (limitatamente al periodo in cui sia accertata l’alterazione concreta di quel parametro) e, prima fra quelle, la possibilità di una sua sostituzione in via normativa, laddove non sia possibile ricostruirne il valore “genuino”, cioè depurato dell’abusiva alterazione, andranno valutate secondo i principi generali dell’ordinamento»”.
Fatte le sopra estese premesse e valutazioni, con riferimento al caso esaminato, il collegio del Tribunale di Torino, ha dapprima ritenuto che fosse irrilevante che la stipula del contratto di mutuo fosse avvenuta precedentemente al periodo in relazione al quale venne accertata la manipolazione, in quanto il mutuo è un contratto di durata e quindi è possibile che la nullità sopravvenga rispetto alla stipula.
Prosegue poi osservando che, “Viste la decisione della Commissione europea del 4.12.2013 e la successiva decisione del 7.12.2016, può poi ritenersi integrata la prova del fatto che per il periodo compreso tra il 29 settembre 2005 e il 30 maggio 2008 il parametro Euribor sia stato oggettivamente, effettivamente e significativamente alterato in concreto, rispetto al meccanismo ordinario di determinazione presupposto dal contratto, in virtù delle condotte illecite dei terzi, al punto da non potere svolgere la funzione obiettiva ad esso assegnata”.
Ed allora, in considerazione del fatto che le parti hanno fatto riferimento all’indice Euribor, “l’accertata manipolazione di tale indice non può che avere inciso in concreto sulla determinazione del tasso di interesse nel periodo in cui tale manipolazione è stata accertata, compreso tra il 29 settembre 2005 e il 30 maggio 2008”.
Tanto osservato, il collegio ha valorizzato quanto contenuto nella consulenza tecnica di parte in punto di ricostruzione dei maggior interessi corrisposti, evidenziando come “l’alterazione del tasso abbia inciso in concreto sulla determinazione del corrispettivo del mutuo”, con la conseguenza che “il tasso di interesse applicato non sia stato rispondente, nel periodo considerato, alla comune volontà delle parti”.
Da quanto sopra, ne discende che “la clausola di determinazione del tasso d’interesse non pare possa sfuggire alla sanzione di nullità sopravvenuta per indeterminatezza dell’oggetto ex artt. 1418-1346 c.c.”.
Infine, al fine di valutare il fumus dell’opposizione, ha ritenuto “fondata la prospettazione della parte ricorrente secondo la quale la risoluzione del contratto e la decadenza dal beneficio del termine furono comunicate alla controparte in assenza dei relativi presupposti”.
Quanto poi al periculum, “ritiene il Collegio che lo stesso debba ritenersi senz’altro sussistente in considerazione della circostanza che vi è il rischio che nelle more del giudizio di merito la debitrice sia sottoposta ad una espropriazione che si riveli successivamente ingiustificata, considerato anche che l’immobile oggetto di espropriazione costituisce l’abitazione della debitrice”.
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Accolta opposizione a precetto di € 83.234,30 per carenza titolarità del diritto.
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Accolta domanda riconvenzionale sul rapporto di conto corrente – declaratoria di nullità del mutuo che venne usato per ripianare il conto – nullità della fideiussione e del pegno: la Banca tenuta a rimborsare € 310.000,00.
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Accolta opposizione a decreto ingiuntivo di € 546.714,99, totalmente revocato, per carenza di titolarità del diritto.
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Accolta domanda riconvenzionale spiegata nell’ambito di una opposizione a decreto ingiuntivo. La Banca aveva ingiunto € 711.303,27 in ragione di un finanziamento ma, a seguito dell’accoglimento della domanda riconvenzionale di ripetizione dell’indebito sul conto corrente che era stato ripianato dal mutuo, il debito è stato rideterminato in € 239.232,16, ossia circa € 472.000,00 di differenza in favore del correntista.
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Accolta opposizione a precetto con cui una società di cartolarizzazione ha chiesto il pagamento di € 208.383,43.
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Il Tribunale di Vicenza, in accoglimento di una opposizione spiegata con il patrocinio del’ Avv. Alessio Orsini, ha espresso importanti principi di diritto a tutela del mutuatario e potenzialmente applicabili alla quasi totalità dei mutui stipulati in Italia.
Difatti, in primo luogo, il Tribunale ha ritenuto che l’eccezione di indeterminatezza dell’oggetto contratto in ragione della mancata indicazione del regime di capitalizzazione composta, sia una eccezione rilevabile d’ufficio.
Ciò posto, con riferimento ai requisiti di determinatezza o determinabilità, previsti ai sensi dell’art. 1346 c.c., “la previsione contrattuale relativa al solo tasso di interesse in ragione d’anno (c.d. TAN) è un’indicazione parziale e di per sé insufficiente a determinare il monte interessi in quanto concorrono a determinare il tasso effettivo annuo (c.d. TAE) anche i tempi di riscossione degli interessi e il regime finanziario adottato”.
Difatti, in ragione del fatto che, alla tipologia di ammortamento prescelto (che sia a rata costante, altrimenti detto alla “francese”, ovvero a quota capitale costante, c.d. “all’italiana”) possono essere applicati almeno due tipi di regime finanziario, la Banca ha l’onere di indicare quali di essi intenda applicare.
La scelta tra l’ uno o l’altro, non è indifferente, in quanto “Il primo prevede una maturazione degli interessi ad un ritmo “esponenziale”, e quindi più oneroso, il secondo limita la maturazione degli interessi ad un ritmo lineare e “proporzionale al tempo”, al che consegue che a parità di importo finanziato, di TAN contrattuale, di durata del piano di rimborso e di numero di rate, due prestiti, a seconda del regime di capitalizzazione adottato, produrranno un costo del tutto diverso, che risulterà ovviamente più oneroso in regime di capitalizzazione composta”.
Ed allora, “mentre in un regime di capitalizzazione semplice il TAN può rappresentare una corretta misura del costo del finanziamento, esso perde questa caratteristica in un regime di capitalizzazione composta (dal momento che la relazione tra tempo e interesse non è lineare); anzi, in tali circostanze il TAN fornisce una misura sottodimensionata del prezzo del costo dell’operazione”.
A fronte di quanto sopra e pur nella consapevolezza che la risoluzione di alcune delle questioni oggetto di giudizio siano sottoposte alle Sezioni Unite, il Tribunale ha ritenuto di condividere l’orientamento della giurisprudenza “secondo cui la modalità di ammortamento alla francese (con la corresponsione di rate costanti in cui la quota parte degli interessi è progressivamente decrescente e quella della sorte capitale crescente), specie in relazione all'applicazione del regime di capitalizzazione “composto” degli interessi debitori, è suscettibile di determinare un significativo incremento del costo complessivo del denaro preso a prestito dal cliente, allorquando vengano ad essere corrisposti dapprima gli interessi (capitalizzati in modo “composto”) e poi il capitale, giacché la stessa, diversa da quella “semplice”, costituirebbe per il cliente un inevitabile (ulteriore) “prezzo” del denaro mutuato, incidendo sul suo costo complessivo”.
In tale scenario, sono stati espressi i seguenti ulteriori principi:
“E’ dunque inevitabile giungere alla conclusione che la suddetta modalità debba essere indicata nei contratti bancari per iscritto in modo chiaro, comprensibile ed inequivocabile, anche per la necessità di assicurare il rispetto della trasparenza delle condizioni contrattuali unilateralmente predisposte dall’Istituto di Credito.
E ciò, a maggior ragione, nell’ipotesi in cui nel contratto neppure sia indicato il TAE, ovvero il tasso effettivo annuo, che esprime il meccanismo della capitalizzazione del tasso infrannuale rispetto al TAN.
In detta situazione, infatti, non vi è alcun elemento nel contratto che appalesi quale sia il regime finanziario adottato.
Ora, se il comma quattro dell’art. 117 t.u.b. stabilisce che il tasso d’interesse e ogni altro prezzo o condizione praticati debbano essere indicati per iscritto, pena la loro nullità, un maggior costo del denaro preso a prestito, quale quello derivante dall’applicazione del regime di capitalizzazione composta, in luogo di quello semplice - quest’ultimo previsto nel nostro ordinamento dall’art. 821 c.c. quale regime ordinario di produzione degli interessi – deve necessariamente essere oggetto di pattuizione scritta”.
Su tale aspetto il Tribunale richiama il principio di diritto espresso in diverse occasioni dalla Suprema Corte di Cassazione rispetto al disposto di cui all’art. 117 del TUB, la cui ratio va “individuata in una esigenza di salvaguardia del cliente sul piano della trasparenza e della eliminazione delle cosiddette asimmetrie informative: infatti, la prescrizione che fa obbligo di indicare nel contratto “il tasso d’interesse e ogni altro prezzo e condizione praticati” intende porre quel soggetto nelle condizioni di conoscere e apprezzare con chiarezza i termini economici dei costi, dei servizi e delle remunerazioni che il contratto programma: ed è evidente, allora, che tale finalità possa essere perseguita, con riguardo alla determinazione dell’interesse, non solo attraverso l’indicazione numerica del tasso, ma anche col rinvio a elementi esterni obiettivamente individuabili, la cui materiale identificazione sia cioè suscettibile di attuarsi in modo inequivoco” (Cfr. Cass. civ., Sez. I, 17.04.2020, n. 7896, conf. Cass. civ., Sez. I, 26.06.2019, n. 17110)”.
Da tutto quanto sopra, “Alla nullità della clausola relativa al tasso di interesse consegue, per effetto del meccanismo di eterointegrazione normativa previsto dal comma 7 dell’art. 117 t.u.b., la sostituzione del tasso ultralegale applicato con il c.d. tasso BOT indicato nella predetta norma”.
Ed ancora, “Ne consegue che, nel caso di specie, il piano di rimborso del mutuo a rata costante, ovvero c.d. “alla francese”, deve essere rielaborato utilizzando il tasso BOT annuale minimo dei dodici mesi precedenti la conclusione del contratto”.
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