Banca Veneta condannata per lite temeraria (Tribunale di Vicenza Sentenza del 06.10.2020)
Condanna della Banca per responsabilità aggravata c.d. “lite temeraria” nei confronti di una società edile del Veneto e dei fideiussori. Questo è il risultato raggiunto dallo Studio Legale Alessio Orsini, esperto in diritto bancario e finanziario, con la sentenza del 06 Ottobre 2020.
La Banca aveva richiesto un decreto ingiuntivo di € 87.101,76. A seguito di opposizione e ricalcolo ordinato dal Giudice del Tribunale di Vicenza, il conto corrente è passato da negativo a positivo. Infatti si è arrivati ad avere un saldo a favore del correntista pari ad € 276.485,40 (€ 336.798,64 comprensivo di interessi attivi da parte della banca).
Lite Temeraria
Nella Sentenza, la Banca viene condannata non solo a rimborsare le classiche spese di giudizio, ma anche quelle per c.d. “lite temeraria”. Infatti secondo la sentenza non ha agito con la normale prudenza. Ha aggravato altresì il proprio comportamento con una illegittima segnalazione a sofferenza presso la Centrale Rischi della Banca D’Italia e con ipoteche giudiziali.
Non è infrequente che le Banche, in virtù della propria posizione di forza, pongano in essere azioni del tutto ingiustificate. Infatti confidano il più delle volte in una sottomissione, ossia in una non reazione delle controparti.
Nel caso di specie, è immaginabile come i rappresentati della Banca abbiano sottoposto i protagonisti della vicenda ad un notevole stress.
Difatti, la revoca dei rapporti bancari, la segnalazione a sofferenza presso la Centrale Rischi e le plurime ipoteche iscritte su tutti i loro beni, hanno stravolto l’esistenza stessa di chi ha subito tali azioni.
Un danno subito, quindi, non solo di natura patrimoniale, ma anche psicologico e di cui spesso non si parla in questi casi.
Ecco perché la pronuncia rappresenta un passaggio fondamentale nel contenzioso bancario. Infatti viene riconosciuta una “colpa grave” nei confronti di una Banca che non ha agito con la “normale prudenza”. Addirittura pur se “ripetutamente avvertita (e diffidata)”.
Questo risultato restituisce dignità e speranza a chi, per tanti anni, ha patito ingiusti soprusi, con l’aspettativa che possa essere di aiuto per tanti altri casi similari che purtroppo non sono infrequenti.
La vicenda
Il caso giudiziario riguarda una società edile Veneta, composta da padre, madre e dai due figli, che venne a suo tempo aggredita, unitamente ai fideiussori, da una BCC del territorio, mediante un decreto ingiuntivo di circa € 87.000,00, derivante dall’asserito saldo debitore di un conto corrente, poi rivelatosi inesistente, anzi positivo in favore del correntista per € 276.485,40 (€ 336.798,64 comprensivo di interessi attivi).
Nonostante la Banca avesse ottenuto in corso di rapporto ipoteche volontarie per un valore notevolmente superiore alla asserita esposizione, una volta che ottenne il decreto ingiuntivo iscrisse ipoteca giudiziale su tutti gli immobili delle persone fisiche.
Ad aggravare il tutto, vi fu la segnalazione a sofferenza presso la Centrale Rischi della Banca D’Italia, che comportò l’effetto domino con gli altri istituti di credito, i quali a loro volta risolsero i rapporti e che determinò altresì l’impossibilità di accesso al credito, sia per la società che per i garanti.
L’impresa Veneta ed i fideiussori si opposero all’ingiunzione, mediante il patrocinio dell’Avv. Alessio Orsini, il quale antecedentemente al giudizio, tentò (vanamente), a mezzo di diffide e procedure di mediazione, di comporre bonariamente il giudizio.
Solo all’esito del giudizio di opposizione, la società correntista e i fideiussori hanno trovato accoglimento alle proprie legittime doglianze.
La decisione
In corso di causa, venne espletata CTU sul rapporto di conto corrente che portò ad un saldo positivo, ossia a favore della correntista per € 276.485,40 (€ 336.798,64 comprensivo degli interessi attivi).
In buona sostanza, il Tribunale, in accoglimento delle contestazioni sollevate dagli opponenti, ha ritenuto non solo non sussistere alcun debito della società, ma addirittura un saldo positivo del conto corrente, il che ha comportato la revoca integrale dello stesso, nonché la condanna alla cancellazione della illegittima segnalazione a sofferenza.
Difatti, il rapporto di conto corrente si fondava su un contratto avente il rinvio delle condizioni economiche (interessi e spese), a quelli che erano gli usi su piazza, ossia condizioni del tutto indeterminate.
Oltre a ciò, il Tribunale ha accertato l’illegittima pratica anatocistica e il difetto probatorio di mancata produzione di tutta la serie iniziale degli estratti conto, che ha comportato il ricalcolo al c.d. “saldo zero”.
Un importante principio è stato espresso anche con riferimento all’avversa eccezione di prescrizione, poiché il Tribunale ha ritenuto che il conteggio dovesse avvenire sul saldo ricalcolato, in ottemperanza a quanto disposto dalla Cassazione con Sentenza n. 9141 del 2020.
La condanna della Banca per responsabilità aggravata ex art. 96 c.p.c. ossia per c.d. “lite temeraria”
Il Tribunale ha dato rilevanza alle plurime diffide che gli opponenti, per il tramite del patrocinio dell’Avv. Alessio Orsini, inviarono alla Banca prima dell’azione per decreto ingiuntivo.
Difatti, la Banca, in quanto “operatore professionale”, avrebbe dovuto sapere benissimo che l’azione giudiziale che si apprestava a porre in essere si palesava quale del tutto temeraria, sia con riferimento al materiale probatorio e sia con riferimento alle nullità contrattuali.
Oltre a ciò, il Tribunale ha rilevato come la segnalazione a sofferenza presso la Centrale Rischi della Banca D’Italia e l’iscrizione di plurime ipoteche giudiziali per un debito “che si è rivelato palesemente insussistente”, abbiano ingiustamente aggravato la posizione della società e dei fideiussori.
Ecco perché il Tribunale ha stigmatizzato l’azione giudiziaria intrapresa dalla Banca, poiché “non poteva non essere consapevole” di agire in maniera non corretta.
Per l’importanza dei principi espressi si riporta integralmente il punto della Sentenza:
“V. Condanna ex art. 96 c.p.c. E’ da accogliersi anche la richiesta di condanna ex art. 96 c.p.c. proposta dagli opponenti in quanto la Banca ha agito in via monitoria (e resistito nella presente fase di opposizione) con colpa grave. L’opposta, infatti, non poteva non essere consapevole della lacunosità della documentazione del conto corrente per il cui saldo passivo domandava ingiunzione, sia per un elementare principio di vicinanza della prova, sia perché ripetutamente avvertita (e diffidata) dagli opponenti. E’ fatto notorio, d’altra parte, e vieppiù dovrebbe esserlo per un operatore professionale come una Banca, che i contratti con clausole c.d. “uso piazza” non siano validi e che la mancanza della serie completa degli estratti conto comporti l’applicazione della regola del c.d. “saldo zero” a favore del correntista. Appare nella presente fattispecie evidente come la Banca abbia agito in monitorio non osservando quella normale prudenza che, al contrario, avrebbe dovuto osservare e che abbia aggravato la posizione degli opponenti con la segnalazione a Centrale Rischi della società e l’ipoteca giudiziale (per l’importo di € 150.000) iscritta contro i fideiussori, per un debito che si è rivelato palesemente insussistente.In conclusione appare equo condannare l’opposta ex art. 96 c.p.c. al pagamento, a favore degli opponenti, dell’importo complessivo di € 5.000”.